Dopo il Congresso di Livorno si infoltisce la schiera dei comunisti riccionesi

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L’ala più intransigente dei socialisti, organizzata nei “circoli comunisti” – a Riccione prospera “Spartacus” (si veda la precedente “Pagina” di questa settimanale rubrica) –, è convinta che l’Italia si trovi in una situazione pre-rivoluzionaria e che la conquista del potere sia solo questione di giorni. Forte di tale certezza, questa corrente di pensiero nel gennaio del 1921 al XVII Congresso Socialista di Livorno, dà vita al Partito comunista d’Italia (PCd’I). Il programma del nuovo movimento politico – guidato da Antonio Gramsci (1891-1937), Amadeo Bordiga (1889-1970) e Umberto Terracini (1895-1983) – è in piena sintonia con la Terza Internazionale ed è decisamente insurrezionale, addirittura bolscevico: nel manifesto ideologico e programmatico spiccano «l’abbattimento violento del potere borghese» e la «realizzazione della dittatura proletaria». I rappresentanti delle sezioni socialiste di Rimini e Riccione, presenti all’assise di Livorno, si sono pronunciati contro la scissione, ma una volta avvenuta la separazione non pochi militanti del “Sol dell’avvenire” vanno ad infoltire i ranghi del nuovo schieramento. Tra i primi riccionesi ad aderire alla formazione comunista troviamo Luigi Camerani, Ilario Bernabé, Mario Baldacci, Nino Angelini, Sebastiano Arcangeli, Armando Barilari, Roberto Bernabé, Ubaldo Bertozzi, Guerrino Bianchi, Armando Bologna, Dario Bologna, Attilio Cecchini, Dante Galli, Colombo Giavolucci, Aldo Giovagnoli, Mario Magnani, Roberto Maioli, Brenno Manzi, Tino Migani, Mario Montalti, Primo Mulazzani, Marzio Olmeda, Luigi Santi, Elso Tontini, Edoardo Venturini e Adolfo Fabbri che assumerà le funzioni di segretario del partito. I primi tre di questo elenco sono annoverati tra i fondatori del Partito comunista di Riccione; gli altri risultano da un documento del 1921 rintracciato da Giorgio Giovagnoli nell’archivio della Federazione del Partito comunista di Forlì. (cfr. Giorgio Giovagnoli, Storia del Partito comunista nel riminese 1921/1940, Maggioli Editore, Rimini, 1981; p. 119). Rotti i ponti coi socialisti, i comunisti di Riccione si precipitano ad instaurare rapporti di buon vicinato con gli anarchici, «una quindicina in tutto», ma molto determinati nella loro azione di propaganda rivoluzionaria (cfr. Lotta di classe, 8 maggio 1921). La situazione nazionale, intanto, continua a riproporre lo stesso copione dei mesi passati: scioperi, serrate, occupazione di fabbriche, disordini in tutte le grandi città con morti e feriti. Il governo di Roma dimostra tutta la sua impotenza a fronteggiare la piazza e non trova di meglio che anticipare il turno elettorale. Le elezioni politiche, per il rinnovo del parlamento, vengono fissate nella giornata del 15 maggio 1921. I socialisti, che fino ad ora sono sempre stati sospinti dal vento favorevole del consenso, in questa ennesima competizione mostrano sintomi di nervosismo. Con la scissione di Livorno il movimento operaio ha perso la sua tradizionale compattezza e nei piccoli centri la diaspora assume spesso l’aspetto di una vera e propria lacerazione con rivalità e personalismi che snaturano la consueta dialettica. A Riccione la spaccatura crea qualche attrito, ma non provoca eccessiva tensione; tant’è che, nonostante le divergenze di opinioni, le manifestazioni e i cortei continuano ad essere unitari. La festa del primo maggio 1921, per esempio, organizzata dal Partito comunista d’Italia con la presenza di tre relatori “bolscevichi”, Ettore Croce (1866-1956), Vincenzo Aulisio (1904-1945) e Marchetti, si svolge con la massiccia partecipazione di tutta la Sinistra: un’adunata di piazza imponente, con sventolio di bandiere comuniste, anarchiche e socialiste (cfr. Lotta di classe, 8 maggio 1921). E così pure la mobilitazione per il comizio di Claudio Treves (1869-1933) e Genunzio Bentini (1874-1943), a chiusura della campagna elettorale socialista. Germinal, il 14 maggio 1921, scrive che i due «parlarono ad alcune migliaia di lavoratori» e che dall’entusiasmo dei partecipanti trapelava la certezza che il 15 maggio sarebbe stata un’altra «compatta vittoria» progressista. Riccione la “rossa”, insomma, non si sarebbe smentita. Al dinamismo dei “rossi” si contrappone l’inerzia dei “bianchi”, cioè dei popolari. A Riccione i seguaci di don Sturzo sono totalmente assenti; a San Lorenzino, invece, guidati da don Giovanni Montali, mostrano una indubbia vitalità (cfr. L’Ausa, 23 aprile 1921 e Germinal, 23 aprile 1921). Dell’impegno politico dei cattolici e delle loro difficoltà a renderlo pubblico diremo la prossima settimana.

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