Il diario di Caterina Cavina, Medicina piange "lo Zio"

Imola

di CATERINA CAVINA Se Aurelio Prata potesse avere un funerale, la chiesa di San Mamante sarebbe piena. Tutta Medicina vorrebbe salutare “lo Zio”. È il primo aprile, tra due giorni dovrebbero dirci se usciamo o meno dalla zona rossa, chissà. Intanto martedì, è morto per Covid 19 Aurelio, la notizia mi è arrivata mentre cenavo ed è stato subito un groppo al cuore. Cinquantatré anni, la più giovane vittima del focolaio di Covid 19 di Medicina. Anche lui era al centro sociale durante la maledetta partita Inter-Bologna trasmessa su Sky al Medicivitas e che molti temono sia stato il momento del contagio.
Nato ad Agrigento, alto e massiccio, viso pieno e sorridente, aveva sempre una battuta per tutti o un aneddoto divertente. Cuoco, buongustaio e cantore, amava parlare con gli anziani, imparare il dialetto e lo slang dei campi, tanto che gli amici dicono: “Forse l’italiano non lo ha mai imparato, ma il medicinese stretto sì”. Un “Peter Pan”, così lo definiscono i suoi cari, un uomo che non si era fatto una famiglia in senso stretto, cioè moglie e figli, ma ne aveva una più grande fatta da sorelle, nipoti, colleghi e tantissimi amici.
«Sui tuoi aneddoti di vita vissuta prima o poi scriverò un libro. Le tue “dritte culinarie” si dovrebbero inserire nella Guida Michelin e i “pacchi alimentari” che mi spedivi dal nord erano Patrimonio dell’Unesco. Se mi vedessi adesso di sicuro mi diresti: “Verooo’, che sta c’chiagn’?”. Ma lo so che, con il tempo, tutte le volte che ti ricorderò, ogni lacrima diventerà un sorriso», scrive Veronica Prata.
Le immagini della vita di Aurelio hanno un odore: della conserva di pomodoro che cucinava ogni fine estate in cortile, inebriando i vicini, o ai suoi famosi strozzapreti del Barbarossa, piccantissimi.
Lo rammenta bene Linda Pirazzini, sua amica di sempre, tanto da definirlo un figlio putativo. «Lo conobbi quando era appena arrivato a Medicina, venne in ufficio da me, doveva fare l’assicurazione alla macchina. Diventammo subito amici, da allora non ricordo un evento importante della mia vita senza di lui. C’era sia nei momenti brutti che in quelli belli. È stato l’unico a venire ad entrambi i miei matrimoni: il primo qua e il secondo-replica in Sardegna. La sua Vespa rossa era magica, dal sellino tirava sempre fuori qualche leccornia che dovevi assaggiare. Negli ultimi tempi era diventato di casa, i suoi genitori erano mancati, quindi stava con noi a tutte le feste. Ricordo anche l’ultima volta che l’ho visto, prima della malattia, doveva studiare un pezzo di un’opera di Donizetti per cantarla con la corale, così ce la siamo studiata in dvd».
Aurelio, operaio di professione, aveva fatto della musica musica la sua seconda passione dopo la cucina. «Ti immaginiamo mentre tra una battuta e un’altra inizi a cantare, magari brontolando un po’ perché il tuo vicino di coro non ha studiato il pezzo per benino – scrive Monica Mondini a nome della Corale il Quadrivium –, ti rivediamo mentre ti metti in fila in attesa di salire sul palco facendo fretta a chi deve salire prima di te, ti pensiamo mentre, a fine concerto, ammonisci chi si accaparra i bocconi migliori senza aver aspettato il nostro maestro e anche mentre ti offri generosamente di preparare da mangiare per tutte le feste del paese e anche per le nostre. Spero che nel posto dove sei andato troverai qualcuno che ti raddrizzi il papillon e che ti sistemi la spilla della corale ti vediamo mentre corri a casa con la lambretta rossa perché la spilla te la sei scordata. Ora ci manchi, ci mancherai ancora per tanto tanto tempo! Buon viaggio grande gigante gentile e buono».

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