La cronaca riminese tra 800 e 900: il merdaiolo

Cultura

RIMINI. Nei primi anni del Novecento la rete fognaria stradale era molto carente e limitata solo ad alcuni settori della città. I pochi scarichi esistenti, convogliati un po’ alla buona verso rudimentali collettori, non subivano un efficace processo di smaltimento e nella maggior parte dei casi occorreva intervenire manualmente per togliere l’eccedenza stagnante. Erano soprattutto i contadini che si accollavano l’onere della pulizia dei pozzi neri e non senza ricavarne un utile, poiché il liquame che raccoglievano era utilizzato come concime. L’operazione, eseguita nelle ore più impensate della giornata e con carretti che perdevano per strada buona parte di ciò che andavano a raccogliere, inondava per giorni e giorni il rione di un insopportabile fetore. La maggior parte delle abitazioni, inoltre, era priva di tubature per lo scarico delle acque nere e i rifiuti, non potendo essere spazzati via dal liberatorio scroscio d’acqua, dovevano trovare ospitalità in qualche angolo della casa o della mobilia ed aspettare che passassero i merdaioli, ovvero gli addetti alla raccolta di tali prodotti, chiamati anche gli “uomini della botte”, poiché svolgevano il necessario servizio urbano con dei recipienti – le botti, appunto – sistemati su carretti trainati da somarelli. In questi contenitori ogni giorno confluivano, molto democraticamente, tutti gli escrementi della popolazione riminese. L'articolo completo sul Corriere Romagna in edicola oggi, 24 marzo.

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