C’è chi l’ha definita «un velocista che corre in una gara per mezzofondisti» e l’immagine calza a pennello per la rapidità di trasmissione della variante Omicron del virus Sars-Cov-2. Iniziano però ad emergere risultanze di studi, clinici e sperimentali, che certo non rasserenano il cielo, ma almeno impediscono che allarme muti in panico. Omicron provocherebbe una malattia polmonare attenuata. Speranze o evidenze? Lo abbiamo chiesto a Claudio Vicini, direttore del Dipartimento Testa-Collo dell’Ausl Romagna.
Professor Vicini, la variante Omicron sta diventando predominante anche sul nostro territorio e in tempi brevissimi. Perché?
«Qualcuno dice che sia il virus dalla più rapida diffusione della storia, non so ma è ormai inconfutabile sia una delle infezioni più trasmissibili mai registrate sulla faccia della terra. A parità di contatto la sua contagiosità è fino a 15 volte superiore a quella della variante Delta. E’ anche il virus più veloce nella sua evoluzione clinica: gli bastano 2-3 giorni al massimo di incubazione. Ciò significa che l’infezione si sviluppa prima, ma anche che il decorso della malattia, salvo complicanze, è più breve».
Ecco il punto: è vero che intacca i polmoni in misura inferiore?
«Gli studi clinici effettuati in Sud Africa e quelli sperimentali in Gran Bretagna e Stati Uniti sono ancora in via di completamento e ragionare in termini di rischio effettivo è più complesso. Il virus, infatti, interagisce con una platea di soggetti diversi tra loro: vaccinati con due dosi, con il booster, non vaccinati e si comporta differentemente a seconda della persona che colpisce. Il distinguo vero si può fare tra vaccinati e guariti e non vaccinati».
Quindi coloro che non si proteggono corrono comunque un rischio elevato, anche polmonare?
«Sì, per loro registriamo ancora difficoltà respiratorie e insufficienze polmonari. In chi è guarito o ha ricevuto la terza dose, Omicron agisce diversamente. Si manifestano meno affanni e dolori muscolari e articolari, i sintomi riguardano le alte vie respiratorie e principalmente sono il mal di gola, che prima era un caso sporadico, e un raffreddore anche poderoso ma senza perdita dell’olfatto».
Sembra la tipica “raffreddata” invernale: come si distingue il Covid da questa? E’ vero che i test antigenici siano meno sensibili a Omicron?
«Il problema è farli bene, devono essere nasofaringei od orofaringei, detto in parole semplici, andare dal naso verso la gola dove pare ci sia la maggiore colonizzazione virale. Chi acquista i “tamponi fai da te” sappia questo e guardi bene i tutorial sul web poiché essere negativi, non significa che non si possa essere infettati e infettivi, è come entrare in una stanza e vederla vuota, ma una persona potrebbe essere comunque presente in un angolo».
Torniamo ai rischi: molti più contagiati, in termini assoluti vorrà dire comunque anche molti più ricoverati?
«A Forlì siamo ancora in una situazione gestibile, ma proprio in previsione di questa eventualità la direzione ospedaliera ha convocato tutte le unità operative per programmare l’intensificazione dell’offerta di posti letto Covid. Questo significa che la disponibilità per pazienti con altre patologie cala. E calano anche medici e infermieri tra positivi e non vaccinati: se il Governo non immette presto risorse e non sblocca le assunzioni, il sistema non reggerà più a lungo».
Anche perché il picco dei contagi quando è previsto?
«Mi fido dei modelli matematici come quello del preside del Campus di Cesena, Massimo Cicognani. Nella seconda metà del mese lo raggiungeremo, poi ci sarà una rapida discesa perché le campane sono abitualmente simmetriche».
Il ritorno degli studenti in aula venerdì rischia di ritardare nel tempo il raggiungimento del picco?
«Per fortuna non mi trovo a dovere decidere. Togliamoci dalla testa, però, che le scuole non siano un serbatoio di rischio. Per questo i più piccoli vanno vaccinati e al più presto».