Ciclismo, Giro d'Italia: Brasey, la fanfara e lo slalom tra puledri. Tra la Corsa Rosa e Cesena fu amore a prima vista

Cesena e Savignano sul Rubicone furono toccate anche dalla prima edizione, quella del 1909, del Giro d’Italia, che non poteva non passare sulle polverose strade di casa del suo ideatore, il forlivese Tullo Morgagni, redattore-capo della Gazzetta dello Sport. Alla partenza c’erano 5 romagnoli, tra cui il cesenate Canzio Brasey con il numero 59, in sella a una Atala (pneumatici Pirelli) da 15 chili e rapporto fisso. Come passista era considerato uno dei migliori ciclisti romagnoli in quegli anni pionieristici e nella sua città era assai popolare.

Brasey “libero” cesenate

A quella prima Corsa Rosa, Brasey partecipò da “isolato” (o “libero”), cioè senza una squadra, e quindi privo di assistenza durante la gara. Già nella prima tappa (Milano-Padova-Bologna) a Desenzano fu coinvolto in una caduta collettiva e si ferì ad un ginocchio con i cocci di bottiglie che i corridori tenevano sul manubrio. Riuscì ad arrivare al traguardo in 23ª posizione dopo 15 ore sui pedali e a ripresentarsi al via per la successiva tappa Bologna-Chieti del 16 maggio 1909. La Gazzetta presentava così il passaggio da Cesena: «All’entrata della città, un ponte a schiena d’asino (il Ponte Vecchio, ndr) di forte pendenza obbliga a rallentare per attraversare la città che è deliziosamente sita in ridente collina, beneficiata per temperato clima e per ricchezza in prodotti dei campi e dell’industria. Dopo Cesena si passa sul Rubicone e la strada conduce piana e bella per S.Arcangelo di Romagna...».

Renato Serra… al Giro

Partiti alle 4 di una domenica mattina da Bologna, i primi ciclisti transitarono a Cesena intorno alle 6.30 accolti dalla fanfara della banda municipale a Porta Fiume. Ancora la Gazzetta: «Le simpatiche cittadine romagnole ci hanno preparato una accoglienza trionfale. Si lanciano migliaia di cartoline allegoriche al “Giro d’Italia”. I cesenati ci commuovono con la loro accoglienza calorosa e col loro entusiasmo sportivo». Si racconta che l’illustre concittadino Renato Serra, grande amante della bicicletta, possedeva un modello Peugeot, si accodò ai girini fin quando il celebre “Diavolo rosso” Giovanni Gerbi gli sottrasse la paglietta dal capo e la lanciò ai bordi della strada. Intanto Brasey, attardato di 8 minuti dal gruppo a causa di una foratura a Forlimpopoli, transitava tra gli applausi della folla. Nella stessa giornata ai giardini pubblici, all’interno dei quali c’era una pista ad anello per le corse dei cavalli e dei “velocipedi”, era stato organizzato un raduno ciclistico, il cui incasso fu destinato a sostenere le spese di Brasey. Seguendo il percorso della vecchia via Emilia cittadina i ciclisti uscirono da Porta Santi.

Cavalli in fuga

Fuori Cesena, probabilmente in quella che oggi è via Fiorenzuola, si verificò un imprevisto, come riporta La Stampa: «Il grosso del plotone di testa, scendendo a forte andatura la breve discesa, non fu in tempo a scorgere una mandria di puledri occupanti tutta l’ampiezza della strada. L’irruzione dei corridori nel folto delle giumente sortì l’effetto di scatenarle a fuga pazza». I ciclisti riuscirono abilmente a evitare l’impatto e a proseguire la corsa verso Savignano sul Rubicone, dove, informa la Gazzetta, «il paese era imbandierato, festante, plaudente: l’organizzazione perfetta. Nessun incidente. Le signore gettavano fiori e cartellini multicolori di saluto». Poi Rimini e lungo la costa adriatica fino a Chieti, che però il cesenate Brasey non riuscì a raggiungere perché costretto al ritiro.

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