Cesena, ricostruito il cammino di Giulio Cesare: nuova teoria sul Rubicone e il dado è tratto

Cesena

Ha letto e riletto per anni gli scritti degli storici antichi e degli studiosi moderni, ma soprattutto ha analizzato i segni rimasti sul suolo, in particolare quelli della centuriazione d’epoca romana, e ha ragionato sulle mappe e sulle strategie militari. Alla fine, Giancarlo Brighi, acuto cultore cesenate del passato remoto, ha ricostruito così in modo dettagliato quello che probabilmente fu il percorso che Giulio Cesare fece durante il suo celebre attraversamento del fiume Rubicone. Un avvenimento che spalancò le porte alla caduta della Repubblica di Roma e al successivo avvento dell’Impero.

La tesi di Brighi, minuziosamente argomentata e affascinante e spiegata in un libro che sarà presentato questa mattina alle 10 al circolo Endas di Ronta, è che sia di corto respiro una visione fissata in modo statico sul corso d’acqua del “dado è tratto”, attorno a cui esistono eterne dispute tra chi lo individua nel Pisciatello-Urgon cesenate, nel Rubicone-Fiumicino di Savignano o nell’Uso santarcangiolese. In realtà - sostiene Brighi - tra la zona di Ravenna nella Gallia Cisalpina e quella di Rimini, che era il limes dell’Italia romana, esisteva una sorta di “terra di nessuno”, a forma di triangolo rettangolo, che era una «trappola idraulica», cioè una zona allagabile con funzioni di difesa da possibili invasioni. E il fulcro di questa zona cuscinetto era Cesena, una piazzaforte in posizione rialzata rispetto al terreno inondato attorno, che sarebbe diventata un passaggio obbligato e quasi imprendibile per chi voleva evitare le sorvegliate vie consolari.
Sul lato nord-ovest questa area strategica aveva come perimetro il Savio, nel suo originario tracciato, poi modificato, che coincideva più o meno con l’attuale rio Granarolo. All’estremità sud-est c’era invece lo storico Rubicone al centro della vicenda più famosa dell’epopea cesariana, che Brighi identifica col Pisciatello, pur con un tracciato un po’ differente da quello odierno. È tra questi due «confini distinti e distanti» che fu lanciata la sfida alla Roma del Senato e di Pompeo.

Secondo Brighi, in quel gennaio dell’anno 49 .C. (il 10 secondo la tradizione, o forse l’11), Cesare uscì di sera da Ravenna, ma non si diresse direttamente verso Rimini lungo la via Popilia litoranea, su cui invece inviò alcuni legionari incaricati di simulare una diserzione. Scelse invece la via che conduceva verso le colline di Bertinoro, dove era concentrata metà della sua XIII legione. Poi, appena raggiunta la via Flaminia II, prolungamento ormai in disuso verso nord-ovest della Flamina, aveva intenzione di girare a est per raggiungere Rimini, attraversando la zona neutrale lungo le strade di confine tra la centuriazione cesenate e il territorio cervese. Ma vicino alle saline di Cervia trovò qualche ostacolo, probabilmente una zona allagata, e così fece una deviazione a sud, su terreni asciutti, e si smarrì, come narra Svetonio, forse anche per la nebbia. O magari si nascose? Fatto sta che finì per sbucare in un punto del Rubicone non previsto, usato dai contrabbandieri del tempo. A quel punto, attraversato il corso d’acqua, si incamminò verso la dimenticata Giovedia, località vicino al Rio Salto e all’attuale Torre di Villa Torlonia, a San Mauro Pascoli, per poi raggiungere il ponte di San Vito, sull’Uso. Oltrepassato anche quel torrente, raggiunse Casale e San Martino in Riparotta, vicino al Marecchia, e fu da lì che i suoi legionari piombarono poi su Rimini. Con un vantaggio: provenivano da una direzione che poteva fare pensare che fossero truppe pompeiane amiche arruolate ad Arezzo, in arrivo da là, e quindi ci fu l’effetto sorpresa, che facilitò l’occupazione della città.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui