Castiglione, querelle storica sul campo di prigionia

Ravenna

Dopo la notizia del campo di prigionia situato nel dopoguerra a Castiglione di Cervia, proveniente dalla ricerca dell’archeologo militare Walter Cortesi, i residenti smentiscono questa ipotesi. Ne nasce quindi una querelle di carattere storico, che vede in campo due opposti fronti. Gli stessi residenti e lo storico Renato Lombardi fanno riferimento a un saggio di Giampiero Lippi, anch’esso studioso degli avvenimenti che riguardano il passato, che esclude in modo «inequivocabile» la versione castiglionese.

«Gli alleati, immersi nella marea di prigionieri tedeschi che era necessario controllare – scrive Lippi – istituirono numerosi campi di concentramento. Essi furono complessivamente chiamati Rimini enklave, e comprendevano un vasto campo ubicato nei pressi di Tagliata, nella valle Felici. Fu aperto il 10 maggio 1945 e chiuso approssimativamente intorno al 30 novembre dello stesso anno. Vi rimasero alcuni nuclei di militari alleati, con il compito di controllare la rete telefonica. Esso, inoltre, sorgeva su di un terreno di bonifica, allagato dagli stessi tedeschi in ritirata».

Lettera al sindaco

Il campo era circondato da filo spinato e accoglieva anche dei militari russi. Una parte dell’area fu utilizzata per l’allevamento dei cavalli, la cui carne serviva per integrare le razioni alimentari. A metà del 1945, invece, il professor Sbrozzi – bonificatore della valle Felici – non era più in grado di alimentare il bestiame per mancanza di foraggio e scrisse al sindaco: «Data l’avvenuta occupazione di gran parte della mia azienda per l’impianto dei campi di concentramento e l’asportazione abusiva di tutto il foraggio da parte dei civili, mi trovo nella impossibilità di mantenere tutto il bestiame. Chiedo quindi di poterlo portare in altri miei poderi al di fuori del Comune». La risposta del primo cittadino non si fece attendere, ma fu di diniego: «Ceda alle aziende agricole che non ne hanno».

Palla a Cortesi

In quanto alla vita del campo, era «decisamente frustrante, noiosa, priva di prospettiva». «Anche l’alimentazione era insufficiente – aggiunge Lippi –. I militari tedeschi prigionieri acquistavano vari alimenti dai contadini prossimi al campo, oppure evadevano sollevando i fili spinati per cercare qualcosa da mangiare nei campi confinanti». Ma a Castiglione, giurano i residenti, non c’erano prigionieri. Ora la palla ripassa a Cortesi, che ha già annunciato l’uscita di un libro, con un approfondimento sul campo di prigionia di Castiglione. Il nome della frazione cervese deriva da un castello appartenente al vescovo di Ravenna. L’atto che ne documenta l’esistenza risale al 1136.

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