Calcio C, Adamo dai Quartieri Spagnoli al Cesena: "Qui il calore è pazzesco"

Luglio 2022. Nel bel mezzo di una rivoluzione da far girare la testa, a un certo punto arrivò un annuncio inaspettato: «Abbiamo preso Adamo dal Monterosi», rivelò improvvisamente il direttore sportivo Stefanelli in una notte di mezza estate. Sette mesi dopo, a fare girare la testa agli altri è proprio lui, Emanuele Pio Adamo, per tutti Manolo, padrone della fascia (anzi, delle fasce) del Cesena in questo 2023 ai confini della perfezione e con il motore sempre acceso.

Adamo, proviamo a fare subito chiarezza. Perché si fa chiamare Manolo?

«È un nomignolo che mi ha messo mio padre quando sono nato e dal primo giorno di vita mi hanno sempre chiamato tutti Manolo. Quando qualcuno mi chiama Emanuele, non mi giro neppure».

Quest’estate lei è passato da una piccola realtà come il Monterosi a una squadra ambiziosa come il Cesena. Cosa ha rappresentato questo salto?

«Al Monterosi devo tantissimo. Sono andato da loro per mettermi in gioco dopo Avellino, dove non riuscivo a giocare con continuità. Per questo ho scelto una squadra che mi garantisse un maggiore utilizzo e devo dire che ha funzionato, perché al Monterosi sono diventato uomo, sono cresciuto a livello calcistico e sono maturato fuori dal campo».

Poi è arrivata la telefonata del Cesena.

«Esatto, una telefonata e per me era già fatta. Non c’è stato neppure bisogno di pensare. Quando il Cesena chiama un calciatore di 24 anni, il calciatore di 24 anni deve accettare».

È la prima volta che gioca al nord. Per un napoletano passionale e sanguigno come lei è più facile o più difficile?

«Il calore della gente di Cesena è pazzesco, quindi non mi manca nulla del sud da questo punto di vista. Ancora oggi non riesco a dimenticare il derby con il Rimini e non solo perché lo abbiamo vinto. Non avevo mai giocato davanti a 14.000 spettatori, anche se a Foggia ho vissuto qualcosa di simile».

Foggia è stata la sua prima esperienza da professionista fuori da Napoli?

«Sì e devo dire che sono stato molto fortunato, perché avevo 17 anni ma andavo sempre in prima squadra, dove allenava Roberto De Zerbi. Lui è stato il mio primo allenatore e dal primo giorno ho capito che sarebbe diventato uno dei migliori. Mi trattava come se fossi suo figlio e mi faceva sentire importante, anche se ero solo un ragazzino aggregato con i grandi».

Torniamo ancora più indietro. In quale zona di Napoli è nato e ha vissuto?

«Quartieri Spagnoli, in pieno centro. Vengo da una famiglia numerosissima. Tanto per fare un esempio, mia mamma ha cinque sorelle e tre fratelli, mentre io ho due sorelle. Ma della mia famiglia sono l’unico che gioca a calcio».

Dove ha cominciato a giocare a calcio?

«A Napoli si comincia sulla strada, nei vicoli, assieme agli amici. Un giorno il mio amico Danilo mi disse: “Mano’, tu sei il più forte, devi provarci”. Mi portò in una scuola calcio a Posillipo e mi fece conoscere Gianluca Sommella, che è stato il mio primo allenatore. Avevo 9 anni e dalla strada sono passato al campo. Ho giocato a Posillipo fino ai 16 anni, poi sono stato acquistato dal Foggia, ma la mia prima esperienza da “grande” è stata in D all’Hercolaneum. La Serie D è tosta, mangi la polvere, devi correre e lottare. I 7 gol realizzati mi sono valsi la chiamata del Cerignola, poi sono andato all’Andria e finalmente la Serie C a Caserta».

Ripensando alla sua infanzia, cosa le ha dato il calcio?

«Al calcio e alla mia fidanzata Martina io devo tutto, perché mi hanno salvato la vita. Quando avevo 14-15 anni ho rischiato di sbagliare strada. Ero ingenuo, mi facevo trascinare, sbandavo. Avevo la testa tra le nuvole. Martina mi ha preso al volo e mi ha detto: “Tu hai una qualità, non puoi stare qui a buttare via il tuo futuro”. Senza di lei e le sue parole e senza il calcio, oggi sarei un’altra persona».

Tra poco diventerete anche genitori.

«Sì, a inizio aprile nascerà Roberto, ma noi lo chiameremo Robby».

Tra i tantissimi tatuaggi che ha sul corpo, ce n’è uno che la rappresenta meglio?

«La scritta “warrior” che ho sul collo. Io mi sento un guerriero, perché sono riuscito a emergere dai Quartieri Spagnoli e a diventare calciatore partendo da un contesto difficile».

Oggi, quando torna a Napoli, cosa prova?

«Amo Napoli, è la mia terra e sono orgoglioso di essere napoletano. Ma da quando vivo fuori, ho capito che preferisco tornarci da turista. Quando sono lontano, penso solo alle cose belle di Napoli, ma quando torno a volte mi vengono in mente i momenti più difficili».

Tornando al presente, è stato difficile ambientarsi in una nuova realtà come Cesena?

«No, serviva solo un po’ di tempo e di pazienza. Per fortuna ho conosciuto tanti compagni che hanno voglia di aiutare i più giovani. Io li ho ascoltati ed ora sono qua».

Oggi, rispetto al girone d’andata, sembra un altro giocatore. Cosa è cambiato?

«Non mi sento cambiato. Dovevo solo capire bene le idee e le richieste dell’allenatore. Ho studiato e ce l’ho fatta. Per Toscano non esistono titolari e riserve, ma solo titolari. La chiave è una sola: farsi trovare pronti, perché una chance la concede a tutti. Quando ho visto che i minuti a mia disposizione stavano aumentando, qualcosa è scattato in me».

Lunedì contro la Reggiana ci sarà di nuovo lo stadio pieno come contro il Rimini.

«La partita di lunedì è importante ma non decisiva. Poi ci sono altri 30 punti a disposizione e tutto può succedere».

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