Andrea Riccardi al Fulgor di Rimini: l'intervista

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“Rimini per la pace” è il titolo della lectio magistralis promossa dal Comune di Rimini e dall’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna che avrà come protagonista lo storico e studioso Andrea Riccardi, fondatore della Comunità Sant’Egidio, già ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione dal 2011 al 2013, nonché cittadino onorario del Comune di Rimini dal 7 marzo del 2000.

A fare gli onori di casa, oggi dalle ore 18.15 al cinema Fulgor (corso d’Augusto, 162), saranno il sindaco di Rimini Jamil Sadegholvaad e la presidente dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna Emma Petitti, che apriranno la riflessione su un tema estremamente attuale in un momento storico complesso, segnato da conflitti, tensioni tra popoli e una drammatica guerra alle porte d’Europa. Aderisce all’iniziativa la Rete della pace di Rimini.

Riccardi, che rapporto ha con Rimini e cosa ha rappresentato ricevere la cittadinanza onoraria?

«A Rimini ho vissuto dieci anni della mia vita, che non sono pochi, dall’infanzia fino al ginnasio, e rappresenta per me un mondo diverso rispetto alle mie origini romane – racconta lo studioso –. Lo ricordo come un vivere dolce, mentre osservavo una città impegnata nella ricostruzione del dopoguerra (tra cui la realizzazione del grattacielo) e la vitalità dei suoi affari. Nel tempo non ho mai perso i contatti con Rimini e con la sua simpatia e quando mi è stata conferita la cittadinanza onoraria sono stato molto grato al sindaco e alla giunta di allora per questo prezioso riconoscimento. Mi fa sempre molto piacere tornarci anche se il mio ricordo appartiene a un periodo storico che non c’è più».

Quanto sono importanti momenti di confronto, dialogo e condivisione come quello che accadrà oggi?

«L’incontro a Rimini è molto importante e si inserisce in una serie di momenti che accompagnano la nostra vita sociale a partire dalla guerra in Ucraina. Il tema della pace non riguarda solo gli studiosi o i politici ma è necessario che sia quanto più popolare. Ognuno deve farsi una propria opinione, anche se le dinamiche sono complesse».

Lei ha parlato di pace dei forti. Oltre alla forza, quali sono i valori che potrebbero portarci al raggiungimento della pace?

«La pace viene erroneamente accostata alla debolezza. Sono molto preoccupato perché sono stato in Ucraina e c’è un popolo totalmente piegato dal conflitto. È necessario trovare soluzioni di pace: finora si è investito troppo sulle armi e poco sulla diplomazia».

La pace è qualcosa di concreto che si può costruire anche nei singoli gesti quotidiani?

«Di fronte alla guerra si prova un forte senso di impotenza perché da una parte è vero che la storia ci si rovescia contro, ma possiamo costruire una cultura di pace e uscire dall’indifferenza senza essere sudditi o complici di tali crudeltà».

Nei periodi di conflitto e di crisi sono spesso categorie come le donne e i giovani a pagarne le spese.

«In Ucraina ho potuto constatare quanto le donne, su cui spesso viene riversato il carico maggiore della famiglia, soffrano in questa condizione che le ha viste partire all’estero. Ai giovani sono stati spezzati i sogni, il loro grande desiderio di affrontare la vita e il futuro, e ne ho percepito la rabbia. La guerra è la madre di tutte le povertà e le persone più fragili sono quelle che ne pagano le conseguenze maggiori. A breve uscirà per Edizioni San Paolo il mio libro “Il grido della pace”: un grido che dobbiamo far sentire per non essere più spettatori della guerra».

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