Bruno Piraccini e il Cesena in B: “Bravo Aiello, ora uniamo le nostre forze per i giovani”
C’è stato un momento in cui il calcio qui non esisteva e non parliamo mica di secoli fa. Lunedì 16 luglio 2018 l’Ac Cesena si arrese al fallimento e per una settimana non ci fu nulla, ma proprio nulla. Per sette giorni il Cavalluccio era la squadra invisibile di una ipotesi di società, poi il 23 luglio ecco le proposte di interesse al sindaco, fino alla vittoria scontata del Gruppo Pubblisole, anche perché le alternative erano oggettivamente bizzarre. Sei anni dopo, Bruno Piraccini si sente come il navigatore che ha completato il percorso: da presidente di Orogel ha avviato l’ingranaggio che ha messo in moto il Cesena Fc e oggi ritrova in B la squadra per cui fa il tifo da una vita.
Piraccini, cosa ricorda di quei sette giorni senza calcio a Cesena?
«Ricordo lo scoramento, un forte abbattimento di tutti per quello che era successo. Ma ripensandoci, quello era anche il terreno adatto perché nascesse qualcosa».
Il terreno adatto anche perché si parla di Cesena, in altre piazze della Romagna difficilmente sarebbe accaduto quello che si vide nell’estate 2018.
«Sì, in questo Cesena è davvero speciale. Ricordo che venimmo interpellati dal sindaco insieme ad altri per dare via ad un’iniziativa che potesse fare tornare il calcio in città. Io ho provato a dare una spinta e a offrire il mio contributo, ma tutto quello che avvenne in quel mese di luglio non poteva arrivare da una sola persona: in tanti hanno dato qualcosa di importante».
Lei sul momento cosa diede?
«Intanto andai ad incontrare Daniele Martini che mi offrì la disponibilità piena da parte del Romagna Centro di mettersi in gioco per creare un calcio di prospettiva per il nostro territorio. Quindi coinvolsi Luca Pagliacci e Gianluca Padovani, due professionisti con cui collaboro abitualmente: a loro chiesi di formare un gruppo di aziende per il nuovo Cesena. Noi come Orogel per statuto non potevamo metterci in gioco direttamente, così ci siamo attivati per fare nascere una aggregazione di imprenditori. Ci fu un impulso decisivo da parte di Michele Manuzzi e Lorenzo Lelli, in più come Orogel abbiamo coinvolto diversi nostri fornitori o imprenditori amici».
Tutti tifosi di calcio?
«Per la verità no, alcuni di questi non erano appassionati di calcio, ma cercammo di fare intravedere un percorso che potesse dare una bella immagine per la loro azienda: almeno una dozzina sono entrati in questo modo. Fare parte di una rinascita avrebbe fatto solo bene e ricordo con piacere la grande disponibilità di tutti. Abbiamo messo insieme persone che nemmeno si conoscevano tra loro ed è stato bello vedere nascere nuovi rapporti di affari e solide amicizie. Tutti i vecchi soci sono rimasti amici: il capolavoro a distanza è stato questo. Cesena in questo è unica, lasciatemelo dire».
In che senso?
«C’è uno spirito di solidarietà che non vedo altrove e non parlo solo del calcio. Penso a Romagna Solidale, che mette insieme 60 aziende che fanno beneficenza, o al ruolo di Romagna Iniziative. Noi sappiamo fare squadra e Cesena è una città solidale: lo dice la nostra storia, lo dice ogni mattina la voglia di lavorare della nostra gente».
Orogel è stata una specie di capitano non giocatore del tennis. Come definirebbe il ruolo che ha avuto nel fare nascere il Cesena Fc?
«Noi non potevamo entrare direttamente, però avevamo un focolare ancora caldo dove non c’era più nulla. Il materiale c’era ed erano le aziende che avevano dato la loro disponibilità, era come avere tanti pezzi di legno sul camino. La passione per il calcio e la voglia di stare vicino alla propria città era un fiammifero pronto per essere acceso, bastava un soffio...».
E voi?
«Noi ci abbiamo messo il soffio».
E il fuoco come si è acceso?
«Direi che si è acceso bene, bastava alimentarlo ed è cresciuto tanto. Abbiamo fatto la nostra parte secondo le nostre possibilità e i nostri limiti».
Finché nel dicembre 2021 cedete la maggioranza a Lewis e Aiello.
«Noi abbiamo avuto il merito di essere rimasti coesi fino all’ultimo pezzo di legno buttato dentro. Anche la cessione della società non è stata una resa o un atto di egoismo. Queste imprese in buona parte piccole non avrebbero potuto raggiungere in breve tempo certi risultati: la vendita del Cesena Fc è stato un ultimo atto di amore, non una liberazione».
Quando vi siete resi conto che era il momento di guardarsi attorno e vendere?
«Mah, io la penso così: anche la nostra società, mantenendo fermi i sacrifici iniziali che ci hanno portato dalla Serie D alla C, avrebbe potuto raggiungere la Serie B. Il limite era un altro».
Quale?
«Il nostro gruppo non aveva la possibilità di usare l’acceleratore, anzi: talvolta doveva forse decelerare. Quello che resta di positivo è che seguendo una tradizione storica del Cesena, noi fin dall’inizio abbiamo investito sul settore giovanile come se fossimo una società di B. Quello è stato un passaggio fondamentale e ne abbiamo visto i frutti: dalla Primavera 1 conquistata due anni fa fino al grande contributo dei ragazzi del vivaio quest’anno con Toscano. Questo è un merito che va dato ai fondatori della società: investire almeno 700mila euro all’anno nel settore giovanile per ricostruire un movimento è stato vitale».
A posteriori, nessun rimpianto per avere venduto il Cesena Fc?
«No, il mio vero rimpianto è un altro: non avere potuto conoscere esattamente la situazione della vecchia Ac Cesena. Se l’ultima Ac Cesena avesse avuto una società più aperta verso la città, probabilmente tutto quello che è successo sarebbe stato evitabile».
Davvero?
«Io penso di sì. Il problema fu che i vertici si chiusero davanti alle difficoltà senza avere il coraggio di dire come stanno le cose, tipo andare dal sindaco e dire: “Io non ce la faccio più”. Penso alla passione di Foschi o allo sforzo vano di imprenditori come Casadei o Santerini che si sono spesi in modo incredibile per il Cesena. Io non discuto che le intenzioni dei vertici fossero buone, ma i problemi andavano rivelati prima, aprendosi per tempo a possibili soluzioni».
Il vostro mantra è sempre stata la sostenibilità, mentre oggi la proprietà americana ha una politica diversa e ha speso parecchio per la prima squadra. È comunque il vero Cesena quello che vede?
«Chi ha acquistato il Cesena lo ha fatto dimostrando grande passione e grande attaccamento. Si sono presi a cuore la crescita della società, coltivando rapporti di amicizia nel territorio».
Come definirebbe il suo rapporto con la famiglia Aiello?
«Ho avuto moltissimi incontri con Michael e John, ho un rapporto di grande stima e di grande fiducia con loro. Mi dispiace solo per una cosa: dovevano essere già in B, se lo meritavano già l’anno scorso».
Nei momenti di maggiore frizione tra Lewis e Aiello, ha mai pensato: «Sta a vedere che tocca di nuovo a noi entrare nel Cesena»?
«Questo no, però ci dispiaceva che la direzione che aveva preso l’allora responsabile del club bianconero non coincidesse con quella che era la politica della famiglia Aiello. Lewis aveva idee e valori diversi da quelli che vedevo e vedo tutt’ora nella famiglia Aiello. Gli Aiello direi che hanno fatto tutto bene,
solo che la composizione societaria di partenza non si è dimostrata ideale per ottenere risultati migliori».
Da tifoso quindi, lei festeggia la B con un anno di ritardo.
«Preferisco un’altra espressione e ribadisco: per tutto quello che ha fatto, la famiglia Aiello meritava di essere in B già da un anno».
Lei è molto diplomatico, ma quando avete ceduto la società a Jrl, c’era un accordo per riconoscere ai vecchi soci il 50 per cento della plusvalenza delle vendite dei ragazzi del settore giovanile. Un accordo fino al 30 giugno 2024 che è stato aggirato con il prestito biennale di Stiven Shpendi all’Empoli con riscatto successivo. Non è stato molto elegante.
«Non entro nel merito sull’eleganza o meno. Mi limito a dire che la passione della nostra holding per questo progetto non può che fare trovare un punto di incontro tra la nuova proprietà Usa orientata allo sviluppo del Cesena e coloro i quali lo hanno fatto nascere. Credo ci siano tutte le possibilità per trovare dei punti di incontro perché anche in questa nuova situazione l’intesa tra proprietà del Cesena e territorio sia di nuovo vincente».
Quindi lei dice agli Aiello: guardiamo avanti a nuove collaborazioni.
«Io dico che è ora di sedersi attorno a un tavolo e parlare di Campus Cesena Sport e magari creare insieme una nuova foresteria per i giovani calciatori a Martorano. Uniamo le forze delle aziende che hanno fatto rinascere il Cesena e la proprietà attuale: uniamole nel segno dei giovani facendo insieme qualcosa di bello».
Torniamo al primo posto della squadra di Toscano: cosa ha detto questo campionato?
«Ha detto che la società è stata brava, che l’allenatore è stato formidabile e che il direttore sportivo ha fatto un buon lavoro. Ma la differenza l’hanno fatta i giovani. Ancora una volta è successo che il Cesena è salito di categoria grazie al contributo decisivo dei ragazzi del settore giovanile. Bravo l’allenatore a farli giocare, ma si è trovato in casa dei giovani di grande valore e all’orizzonte ne stanno arrivando altri».
Da dove nasce la promozione in Serie B?
«Dalla perseveranza della proprietà e dalla passione che ci mette pensando al prossimo campionato e ai prossimi obiettivi».
Che obiettivi hanno gli Aiello per il Cesena?
«Diciamo che sono obiettivi in gran parte comprensibili, ma inconfessabili...».
Questa mattina la chiama Aiello e le chiede un consiglio su come affrontare la Serie B: lei cosa risponde?
«Gli dico di tenere i piedi per terra e di avere la pazienza di assestare la società nella categoria, poi tutto quello che viene, viene».
Da imprenditore: con il calcio si guadagna?
«Non mi risulta che si guadagni, penso sia più facile l’inverso. Però è possibile gestire una società professionistica sulla politica dei giovani: è sui giovani che bisogna investire. Questa è la politica del Campus Cesena Sport a cui noi come Fondazione Orogel partecipiamo al 30 per cento. Formare giovani attraverso il calcio: a Cesena la via giusta resta questa ed è il momento di percorrerla tutti insieme».
© RIPRODUZIONE RISERVATA