Un’estate per capire se chi comanda il Cesena è bravo a gestire le vittorie

I 96 punti in classifica sono talmente tanti da fare girare la testa e qui c’è il nuovo esame per i proprietari del Cesena. Sono stati bravi a perdere, risalendo dai play-off persi col Lecco. Ora vediamo se sono bravi a vincere, restando umili e razionali, evitando manie di grandezza e deliri di onnipotenza da ubriacatura di punti. I punti, già: Toscano in due campionati ne ha fatti 175 in 76 partite (96+79), media di 2,30 a gara. Cosa vuoi dire a uno così? Se certi numeri li fa Mourinho, quando va a parlare di contratto non chiede un ingaggio, chiede direttamente un arcipelago ai Caraibi.

A questo punto resta la Supercoppa e curiosamente il sorteggio di oggi coincide con il 20° anniversario della conquista della Coppa Italia di Serie C. Era il 29 aprile 2004 e la finale di ritorno Pro Patria-Cesena finì 0-1 in un clima piuttosto pesante. L’antefatto era stata l’andata al Manuzzi, 4-1 per il Cesena in una partita dall’epilogo incendiario: Marco Bernacci prima segna due gol, poi si esalta in quello che gli americani chiamano “trash-talking”, il linguaggio spazzatura per ricordare a chi ha perso che ha per l’appunto perso. Il dibattito si irrobustisce nei toni e sale in cattedra Manolo Pestrin, che saluta gli avversari facendo ciao a quattro dita, imitando lo sberleffo di Francesco Totti a Igor Tudor in un celebre Roma-Juve 4-0. Di fronte alle quattro dita sventolanti, gli avversari avanzano in assetto da rissa e in particolare è arrabbiatissimo Paolone Tramezzani, ex Cesena che dopo una parentesi da apprezzato ed elegante opinionista televisivo, oggi allena l’Istria in Croazia, nel pieno della maturità. A quei tempi invece Paolone era una locomotiva fumante (nel fisico e nel carattere) e al ritorno si presenta carico a pallettoni. Quel 29 aprile 2004 si gioca di sera e quando il pullman del Cesena parcheggia nel piazzale dello stadio Speroni, ad attenderlo trova Tramezzani, che all’apertura della portiera affronta Fabrizio Castori e il capitano Riccardo Bocchini e chiede che si scusino davanti a tutti per il finale della gara d’andata.

Ora: chi ricorda quel Cesena, sa benissimo che aveva in rosa giovani mansueti che non avrebbero fatto male ad una mosca, tipo De Feudis, Piccoli o Meloni. Il problema erano tutti gli altri: una banda di guerrieri da carne cruda, da Bocchini a Peccarisi, da Tedoldi a Ranalli e così via. Di conseguenza, di fronte all’invito di Tramezzani c’è tre quarti di pullman ospite che insorge e nei trenta metri di cammino verso lo spogliatoio vengono inventate sul momento una cinquantina di nuove parolacce fin lì sconosciute al vocabolario. Davanti all’arbitro, Tramezzani e Bocchini non si scambiano nemmeno il gagliardetto e il primo tempo è una tonnara di fallacci. Bernacci fa gol al 25’, tra i bustocchi viene espulso Kalu e per fortuna il wrestling finisce all’intervallo. I problemi restano per Manolo Pestrin, che è squalificato ma ha seguito la squadra e ha visto il primo tempo in tribuna: i tifosi di casa lo accostano a Totti senza un briciolo di ammirazione («è lui, è quello che faceva 4 con la mano») e avvisano una delegazione di ultras che si avvicina alla tribuna con progetti molto lontani dallo spirito olimpico. Pestrin viene invitato a lasciare la tribuna e si infila dentro il pullman del Cesena, perdendosi tutto il secondo tempo.

Nel frattempo la pioggia è diventata diluvio, il Cesena conserva lo 0-1 e alla fine alza la coppa in favore dei fotografi. Per l’occasione, l’inedito fotografo del Corriere Romagna a bordo campo è Giovanni Guiducci, che durante la partita è protetto da un maxi ombrello da pescatore e salva la carrozzeria sotto una cascata d’acqua, poi al fischio finale insegue i giocatori che corrono con la coppa e lì iniziano i problemi, perché l’ombrello sospinto dal vento lo fa decollare e muoversi diventa impossibile. Prova ad inseguire Ranalli e Ambrogioni: niente da fare. Ci riprova con Groppi e Tedoldi, ma il vento lo fa sbandare di nuovo. Così alla fine sceglie la prova di forza come Tim Robbins-Andy Dufresne alla fine del film “Le ali della libertà”: lancia l’ombrello come la stampella di Toti (non Francesco il pupone, Enrico il patriota con una t sola) e si mette a inseguire tutti sotto l’acqua, fino alla foto di gruppo finale. In questi casi si dice che uno bagna l’esordio da fotografo e Guiducci prese tutto alla lettera, inviando le foto in condizioni tali che un mocio Vileda al confronto era un arbusto secco, così inzuppato da potere allevare un paio di trote nelle scarpe, mentre l’ombrello che aveva lanciato era sparito per sempre e forse era già su e-bay, reperto della sera in cui il Cesena alzò il primo trofeo della sua storia. E mentre l’allevatore di trote spediva le foto in redazione, Fabrizio Castori in sala stampa ripeteva: «Ora sotto con il campionato, il secondo posto è un osso in bocca tra i denti che non dobbiamo mollare». Poi il Lumezzane sorpassò e chiuse secondo dietro l’Arezzo, ma togliere l’osso dalla bocca a quella squadra era complicato e alla fine fu Lumezzane-Cesena, la finale play-off che mandò in soffitta un antico proverbio, chiarendo un po’ a tutti che a Cesena il can che abbaia, poi morde.

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