Il Cesena, l’estasi mistica e il 5 marzo del ‘59

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Lo stato di estasi raggiunto dal Cesena non ha precedenti. C’è una squadra forte entrata in una dimensione mentale che la rende indistruttibile: ormai siamo al punto che se domani cade un meteorite, lo stoppa Donnarumma che poi crossa per Shpendi. C’è un tale livello di consapevolezza che anche l’Entella ha fatto brutta figura. La partita è durata mezz’ora, eppure dall’altra parte non c’erano mica degli scappati di casa, ma un avversario che se l’è giocata alla pari per metà primo tempo, poi ha grippato e ha svelato che quel ritmo non poteva sostenerlo. Al di là delle assenze di Carrara, da qui alla fine di aprile l’unico vero avversario del Cesena resta la presunzione, che bussa tutte le mattine alla porta ma trova Toscano che urla e la manda via, fiero dell’apogeo della sua carriera di allenatore.
Mandare via la presunzione, appunto. La modestia come manifesto. Carrarese-Cesena si gioca martedì, il giorno in cui compie 65 anni Adriano Piraccini, nato il 5 marzo del ’59, come ricorda l’inizio di una canzone dedicata a lui in un demo-tape oggi introvabile che spopolò a Cesena nei primi anni ’90. Qualche mese prima che Max Pezzali cantasse degli anni d’oro del grande Real, in città girava una canzone sul Piro che parlava di emozioni più di nicchia, tipo il suo cross per il gol di Ciocci in Bologna-Cesena 0-1 con Lippi in panchina e il neo-acquisto Silas in tribuna. Il demo-tape era a firma “J.J.Dio”, nome d’arte impegnativo per un cantante in erba ricco di fantasia e soprattutto di abbonamenti al Manuzzi (viaggia verso i 40 consecutivi al netto del Covid).

Adriano Piraccini ci ricorda che i grandi calciatori umili non passano mai di moda, il problema è che facciamo l’errore di dimenticarli. Per esempio, in 20 anni di carriera ha giocato solo in A e in B, solo che non ce lo fa mai pesare, così oggi si rischia l’iperbole di magnificare chi ha visto solo della C o quasi. Anche nei due anni all’Inter viaggiava sulle 25 presenze a campionato sotto la guida di Trapattoni, uno che pure qualcosa aveva già visto. Il Piro era una mezzala tutta corsa nonostante le 10 sigarette al giorno e nella sterminata anedottica su Trapattoni, le cronache interiste raccontano che la camera in ritiro era divisa con un altro fumatore come il libero argentino Daniel Passarella. Un giorno ci fu l’irruzione del Trap in camera, con gli occhi arrossati da una fumeria stile Vidia Club anni ’80. Passarella ha ancora la sigaretta in bocca, ma Trapattoni guarda solo Piraccini.

“Basta, devi smetterla di fumare, senti che puzza c’è qui”.

“Mister, e Passarella? Perché non dice qualcosa anche a lui?”.

“Perché tu devi correre”.

Piraccini tornò a Cesena nel 1988 dopo i due anni all’Inter e inizialmente venne aggregato in ritiro a Pinzolo alla squadra di Bigon. Una sorta di periodo di prova che lo ferì dentro: il suo destino era sempre quello di dimostrare qualcosa in più ai dirigenti, mentre la gente lo ha sempre adorato a prescindere. Rifiutò un triennale da 180 milioni a stagione della Reggina per continuare questo provino-bis con la squadra della sua città e giocare in A, superandolo ancora una volta.

Ha inseguito talenti di ogni specie in ogni zolla del campo, da Roberto Baggio fino a Pietro Maiellaro, poi al contrario è stato inseguito a Bari nel 1994, in una gara finita in rissa. Quella partitaccia compie 30 anni il prossimo 17 aprile: il Cesena vince 0-1, alla fine Piraccini si azzuffa con Protti e Tovalieri e poi deve scappare da decine di energumeni che lo inseguono. Il martedì successivo, al primo allenamento a Villa Silvia, quando esce dagli spogliatoi, un gruppo di ragazzi intona la sigla di “Rocky”, salutando il suo ingresso in campo con la musica immortale di quando Sylvester Stallone corre sui gradoni del museo di Philadelphia. Nasce addirittura il soprannome “Pirrocky Balboa”, ma svanisce in fretta, perché con il personaggio non c’entra nulla. Uno talmente umile che a 37 anni avrebbe voluto giocare un altro anno, ma niente da fare, precursore di quello che accadde a Beppe De Feudis.

Talmente umile che lasciò il calcio in una partita che non contava più nulla: un Cesena-Brescia 1-2 ultima di campionato dove Hubner deve diventare capocannoniere e ci riesce e il Brescia deve vincere per salvarsi e ci riesce. E il Piro? In questa biscotteria annunciata vorrebbe giocare titolare, ma Tardelli all’inizio lo fa sedere tra le riserve, poi una volta entrato, è lui a chiedere: “Posso uscire prima?” per ricevere gli ultimi applausi, visto che in panchina se ne stavano dimenticando. L’inchino di una carriera che è il riassunto del calcio migliore di Cesena: ovvero divertiti a fare grandi cose e lascia che a tirarsela siano gli altri. Essere umili può essere doloroso: a fine carriera ti confina nello scantinato dei tuoi silenzi anche se hai marcato Platini e Maradona e piacevi a Trapattoni. Anche se sei stato capitano del Cesena e volevi salutare i tuoi tifosi a Bari, mentre dietro facevano la fila per spaccarti la faccia. Però la lezione del Piro rimane nel tempo: essere umili sarà pure doloroso, ma è di una coerenza magnifica.

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