Il Cesena di Carrara, i gol di Shpendi e gli inviti a cena del Conte
Per la prima volta si è avuta l'impressione che stessero giocando le riserve del Cesena. Un fiume di 29 partite passate a non accorgersene: si parlava delle assenze il giorno prima della partita, mai il giorno dopo. Alla giornata numero 30 e contro la terza in classifica era più difficile nascondere la polvere sotto il tappeto: mancavano De Rose, Donnarumma, Corazza e Kargbo e c’è stato tanto di loro in questa marcia da marziani, per tacere di un Pieraccini che è la rivelazione dei ragazzi usciti dal vivaio. In una rosa che ha dimostrato di essere super completa, tra le coppie per ruolo il fosso Donnarumma-David è umanamente quello più profondo, mentre Ogunseye è l'unico acquisto estivo che non ha funzionato. Dopo tonnellate di panchine, Carrara era la sua finale play-off col Cesena, ma l’ha bucata. La cenere della sconfitta non può mettere in secondo piano l’ennesima serata da gol di Cristian Shpendi, un centravanti pazzesco da 19 reti senza rigori in 26 presenze in campionato, l’ultimo capitolo di una storia piena di giovani nata quasi 84 anni fa e il merito sappiamo di chi è stato.
Il conte Alberto Rognoni fondò l’Associazione Calcio Cesena il 21 aprile 1940 e la fondò quando aveva 21 anni, quelli che Shpendi compirà in maggio. È stato un grande romagnolo che ha vissuto gran parte della sua vita fuori dalla Romagna e alla fine il suo rapporto con Cesena è stato simile a quello di Federico Fellini con Rimini. Ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini: mi sento profondamente romagnolo, ma la mia dimensione è un’altra, ho bisogno di spazi diversi.
Nel 1951, su invito del presidente federale Barassi, scrisse in una notte il nuovo Statuto della Figc in un hotel fiorentino sul Lungarno. Tutti i delegati alloggiavano nello stesso hotel e secondo l’uso dei tempi avevano lasciato le scarpe nel corridoio, fuori dalla porta della loro camera. Provato dalla scrittura dello Statuto, alle 5 del mattino il Conte imboccò il corridoio, vide quella sfilata di scarpe e le buttò tutte nell’Arno. Non solo: per dare spessore allo scherzo, buttò pure le sue, così il nuovo regolamento federale venne presentato di buon mattino in una riunione di delegati in giacca, cravatta e calzini (i più borghesi in ciabatte).
Fu capo dell’ufficio indagini della Figc e poi editore del Guerin Sportivo, ammantando il suo essere uomo di potere con una impenetrabile ironia. Ti prendeva in giro a sangue, ma il suo viso era serissimo e non traspariva nulla. A Cesenatico era grande amico di Nevio Simoncelli, proprietario della pizzeria “Da Nevio”, nell’area che oggi ospita il bar cioccolateria di fronte al Da Vinci. Quando un uomo di calcio di riguardo gli chiedeva un appuntamento per dei favori, il Conte prenotava a cena da Nevio. E quando ci si metteva al tavolo con un ospite che poteva essere il presidente del Rimini come quello della Fiorentina, le cose andavano più o meno così.
“Caro Conte, grazie per questo incontro”.
“Si figuri”.
“Dunque, ho chiesto di incontrarla perché...”.
“... Un attimo, prima ordiniamo che c’è già qui il cameriere. Io qui sono di casa, ci penso io”.
A seguire, ecco le tre ordinazioni-tipo del Conte.
1) “Allora, ci porta due belle porzioni di pasta e fagioli col caffelatte”.
2) “Io e il signore prendiamo l’uovo in camicia con la Coca-Cola”.
3) “Per me il solito e lo prende anche il mio amico: due pizze alla caramella mou”.
L’asse Nevio-cameriere-cuoco-pizzaiolo entrava in azione per servire a tavola questo scempio, fino al silenzioso panico dell’ospite, perché il guaio era che arrivava la pasta e fagioli col caffelatte e poi Rognoni iniziava a mangiare.
“Ah, che meraviglia. Buona eh?”.
Paonazzo e impreparato, a quel punto pure l’ospite si metteva a mangiare, attore protagonista suo malgrado di un “Cucine da incubo” ante litteram. La verità veniva a galla solo dopo alcune cucchiaiate di quella pasta e fagioli uccisa per annegamento nel caffelatte o a metà di una pizza collosa che avrebbe fatto ricco ogni dentista. Mentre stomaco e fegato preparavano i cartelli per manifestare il loro sdegno, a quel punto il Conte rivelava lo scherzo e passava alle cose serie, oppure no, perché non ha mai distinto tra goliardia e seriosità. Nel giugno 1998, Dionigio Dionigi lo invitò al Panathlon per la festa della promozione in B del Cesena al Caminetto di Milano Marittima e al microfono il Conte si limitò a dire: “Grazie dell’invito, ma cosa c’è da festeggiare? Chiamatemi quando torniamo in A”. Scherzava, ovvio. O forse no.