Cesena, sei ore su un armadio per sfuggire alla marea di fango «Andarcene? No, è la nostra casa»

Cesena

Alessandra Beltrambini e Maurizio Valbonetti da qualche anno abitano in una casetta tutta su un piano in via Roversano un tempo appartenuta a una zia di lui. Ci abitavano anche il 16 maggio dello scorso anno e quando il fiume gli è entrato in casa hanno trovato riparo su una vetrinetta del salotto. Quello è stato il loro rifugio per sei ore, perché tanto ci è voluto prima che un mezzo anfibio dei Vigili del fuoco li raggiungesse per portarli in salvo. Abitano ancora in via Roversano, in quella stessa casa, «L’abbiamo fatta nuova»: oggi Alessandra ride di questo restyling non proprio voluto. Loro fanno parte di chi ha scelto di tornare, tanti nella via hanno fatto la stessa scelta, ma non tutti. Qualcuno sta provando a vendere, qualcuno ha messo la casa in affitto, altre abitazioni sono ancora vuote e nel pieno dei lavori.

«Chi poteva immaginare?»

Anche quel giorno avevano scelto di rimanere. «Nessuno è andato via qua - racconta Maurizio -. Chi è cresciuto qui aveva già avuto a che fare con il fiume. Erano tutti pronti ad avere un po’ di acqua nelle cantine e 40, massimo 50 centimetri di acqua in strada». Quello che nessuno poteva immaginare, «neanche i vecchi», è che in strada sarebbero arrivati 2 metri e 80 d’acqua e in casa 1 metro e 50. Entrambi hanno un ricordo nitido delle ore precedenti: «Noi alluvionati dobbiamo cercare di essere onesti con noi stessi... non è vero che non eravamo stati avvisati. La verità - dice Maurizio - è che non abbiamo valutato come avremmo dovuto quegli avvisi. Ma chi poteva immaginare quello che sarebbe successo?».

Come a Ridracoli

Nel 2014 lungo tutto il lato fiume i residenti sono stati costretti a costruire un muro in cemento, «per fortuna che ci hanno obbligato, altrimenti il fiume avrebbe spazzato via la casa», dice Maurizio. Quel giorno era da quel lato che si aspettavano di vedere arrivare l’acqua, «invece è arrivata dalla strada»: il fiume è esondato prima vicino al Ponte Vecchio, «Chi ha visto la scena dice che sembrava come quando tracima la diga di Ridracoli». Quando quell’acqua ha incontrato quella che nel frattempo aveva cominciato a uscire anche più giù, il livello si è alzato velocemente. «È cambiato tutto in pochi minuti - racconta Maurizio -. Ho preso la scala per andare in soffitta ma quando ho visto che avevamo già l’acqua a metà finestra ho capito che non avremmo fatto in tempo e così siamo saliti sulla vetrinetta». Qualche istante dopo la pressione dell’acqua ha fatto saltare prima la porta sul retro poi quella davanti.

Il salvataggio

Allertati i soccorsi è cominciata l’attesa. Di quelle ore raccontano il freddo, il fiume che «ha fatto su e giù tre volte» e il rumore degli elicotteri. Quando raccontano dell’arrivo dei soccorsi lo fanno in quel modo molto romagnolo per cui si ride anche nelle disgrazie: «Quando gli abbiamo detto che eravamo su un armadio non ci credevano: “Su un armadio??”. Camminando con l’acqua fino al petto - racconta Maurizio - ci ha raggiunto un soccorritore, prima ha caricato lei sulle spalle, poi è tornato per me. Gli ho detto “guarda che io peso 90 chili”, e lui mi ha detto “sali poi se vedo che non ce la faccio ti mollo”. Oh, invece ce l’ha fatta. È stato bravissimo», commenta ridendo.

La solidarietà

È quando raccontano quello che è venuto dopo, dell’ondata di affetto e solidarietà che li accompagna ancora, che la commozione prende il sopravvento. «La prima settimana ci hanno ospitato Giulia e Claudio, degli amici. I loro figli Gioele e Ismaele in quei giorni sono stati la nostra salvezza», raccontano. «Nostra figlia Giulia è stata straordinaria, ha coordinato tutti gli aiuti insieme a Luca, il suo ragazzo». Quando il giovedì Maurizio è riuscito a tornare a casa per la prima volta, c’era ancora mezzo metro di fango dappertutto, ma appena il fiume ha cominciato a ritirarsi sono arrivati gli amici: «I nostri, quelli di Giulia e Luca, alcuni ci hanno custodito le cose che si erano salvate e quelle che ci hanno donato per mesi. Ci hanno aiutato i genitori degli amici dei nostri figli. e anche perfetti sconosciuti: con alcuni ancora ci sentiamo», racconta Alessandra. Per 6 mesi hanno vissuto in un appartamento messo a disposizione da un amico. Nel frattempo un po’ alla volta hanno sistemato la casa che era tornata praticamente al grezzo. «Qualche problemino c’è ancora e ancora ci sono lavori da fare», ma volevano tornare e sono contenti di esserci riusciti.

Anche dell’operato del Comune hanno una buona opinione: «Crediamo abbiano fatto un buon lavoro, sin dalle prime fase dei soccorsi li abbiamo sempre sentiti presenti. Si poteva fare di meglio? Probabilmente sì, ma abbiamo amici di Faenza e Forlì che da questo punto di vista si sono trovati più in difficoltà».

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