L’avventura del ristoratore di Rimini a New York: “Ci vorrebbero più romagnoli in giro per il mondo”

Rimini

«Dico che vengo dalla città di Fellini e i newyorkesi finiscono la frase». Il 44enne riminese, Alessandro Arseni è cresciuto a pane e hotellerie perché la sua famiglia possiede due strutture ricettive: da circa quarant’anni l’Hotel Augusto e da otto la Villa Augustea, perla architettonica costruita agli inizi del Novecento dal pittore Ferruccio Luppis, in passato sede di mostre e poi prigione dei nazisti nella seconda guerra mondiale.

Per lui aprire nel 2016 a New York il ristorante “Misirizzi” è stato quindi un passaggio naturale che ha scandito la sua vita in due tempi. Ora trascorre i mesi più freddi nella Grande Mela e la bella stagione in riviera per dare una mano alla famiglia, dopo aver affidato alla socia, Siria Morselli, il locale americano che vanta un’ottantina di coperti e una decina di dipendenti full time, più uomini che donne, età media 30 anni. La difficoltà a reperire personale si è affacciata anche oltreoceano e, causa gli affitti alle stelle, sempre meno italiani lavorano nei ristoranti dei connazionali. In quello di Arseni non mancano comunque ricordi della Romagna, dai testi per la piada ai reperti provenienti dal lungo restauro di Villa Augustea, come un telefono con la cornetta e il memo dei numeri utili impresso sopra. Quanto al nome del ristorante, “Misirizzi”, l’ha scelto perché suonava bene evocando un pupazzo dalla base sferica che se sbilanciato torna subito in posizione eretta ricordando l’infanzia ma soprattutto la legge intrinseca di New York: “Mai mollare” (“Never give up”).

Arseni, perché un doppio lavoro da un estremo all’altro dell’oceano?

«Ho trascorso l’adolescenza dentro alla più classica cartolina di Rimini quando gli hotel mandavano gli auguri di Natale a clienti che per decenni prenotavano la stessa camera. Ma non è sempre andata così, perché quand’ero più piccolo e fino ai miei dieci anni i genitori mi spedivano con mio fratello a Milano dai parenti di nostra madre. In breve, all’arrivo della bella stagione, ci attendeva il viaggio inverso rispetto ai turisti. Poi, crescendo, della voglia di studiare non c’era l’ombra e d’inverno Rimini mi stava stretta perché non c’era niente da fare, quindi a 21 anni sono andato a perfezionare l’inglese prima a Los Angeles, poi in Scozia per un annetto finché sono tornato negli Stati Uniti a lavorare. Con la ristorazione è stato amore a prima vista e il sistema delle mance faceva ingranare ogni mio progetto. Partivo zaino in spalla senza troppi pensieri come ogni giovane che si rispetti. Sette inverni dopo ho aperto il locale».

Dove sorge il ristorante e quale clientela attira?

«Tra l’East village e Soho in un quartiere residenziale molto in voga che si chiama Noho. Una zona, per capirci, frequentata un tempo dall’artista Andy Warhol e ricca di pietre miliari dell’architettura. Siamo sulla quarta strada poco distante dalla Bond, una delle vie più richieste, con appartamenti in vendita dai 5 milioni in su. Bella gente, insomma, inclusi molti studenti universitari».

Cavallo di battaglia?

«Gli strozzapreti resi celebre dal documentario dell’attore Stanley Tucci in trasferta a Rimini. Molto apprezzata anche la ciambella che serviamo a fette, così nessuno chiede perché manchi il buco (ride, ndr). Più in salita il tentativo di far apprezzare la piada, che troppo ricorda le tortillas messicane, ma anche procurarsi un’ampia varietà di vini romagnoli rispetto ad altre bottiglie. Poco compresa infine la pasta in brodo, tant’è che abbiamo rivisitato i cappelletti che serviamo con salsa di squacquerone, rucola e prosciutto croccante. Quanto all’aspetto del locale, l’idea del designer Mattia Sagaria, che ha ideato uno dei primi locali Starbucks sorti nel capoluogo meneghino, era ricostruire una casa milanese anni Settanta».

Le difficoltà maggiori?

«A sparigliare le carte ci ha pensato la pandemia: da allora non siamo più aperti tutti i giorni, a pranzo e cena ma solo di sera, anche per andar incontro ai dipendenti, con la domenica come giorno di chiusura».

Cosa le manca di più?

«Se si nasce sul mare, non si riesce a vivere senza».

Clienti famosi?

«Gli attori Paul Giamatti e Ryan Atwood, in passato stella della serie televisiva O.C. e ora protagonista di Gotham, prequel di Batman. Alla lista si aggiungono critici teatrali e registi, volti meno familiari al grande pubblico, in quanto sempre dietro le telecamere. Una curiosità? Certi divi arrivano camuffati per evitare gli assalti dei fans».

I newyorkesi conoscono Rimini?

«Assolutamente sì. Quando mi presento, dico “Vengo dalla città di Fellini” e gli over trenta finiscono la frase menzionando Rimini. Dopodiché iniziano i guai, perché conoscono la filmografia del maestro meglio di qualunque italiano».

Una riflessione?

«Ci vorrebbero più romagnoli, in giro per il mondo, perché tutto il nostro estro si distribuisca equamente, un po’ come lo zucchero vanigliato sulle torte, penetrando in profondità per dare ispirazione agli altri e consentire a noi di tornare a goderci il nostro mare. In santa pace».

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