Imola, sfrattati dalla Diocesi dormono nel portico di palazzo Monsignani

«Sono quattro giorni che io, mia moglie e i nostri cinque figli, di cui due minorenni, viviamo sotto al portico di palazzo Monsignani dopo che la Diocesi ci ha sfrattati dall’appartamento in piazza del Duomo». La triste storia arriva dal centro di Imola e vede protagonista la famiglia di origine nigeriana Festus.

«Sono in Italia da nove anni e ho sempre vissuto in quell’appartamento in affitto - racconta ancora il padre Edu, metalmeccanico di 57 anni -. Ho un lavoro e ho sempre pagato regolarmente, poi ad ottobre ci hanno detto che dovevamo andarcene». Così sono intervenuti i servizi sociali ma «trovare una casa a Imola per sette persone sembra impossibile - aggiunge -. Nei giorni scorsi è arrivata la polizia che ha eseguito il provvedimento del giudice. Non sapendo dove andare abbiamo portato tutte le nostre cose a palazzo Monsignani. Ad oggi nessuno ha ancora trovato una soluzione».

Spadoni (Welfare): «Al lavoro per trovare un rimedio»

Sul caso ha voluto fare chiarezza l’assessora al Welfare, Daniela Spadoni. «La Diocesi voleva ritornare in possesso dell’alloggio per ristrutturarlo e per questo la famiglia ha ricevuto lo sfratto tempo fa per finita locazione, divenuto poi per morosità per un disguido - spiega -. Pur senza il rinnovo del contratto gli inquilini sono rimasti nell’alloggio senza alcun titolo e non dimostrando la volontà di andarsene, maturando così un’indennità di occupazione. Per un po’ hanno comunque continuato a pagare, ma poi hanno smesso di farlo».

Il Comune è stato così contattato insieme ai servizi sociali «dalla Curia e dal loro avvocato affinché si trovasse una soluzione - aggiunge Spadoni -. Il caso, a cui si sono interessati anche i sindacati, è attenzionato dall’Asp e siamo tutti in rete per aiutarli, ma i progetti proposti trovano sempre la chiusura da parte del padre che si sta dimostrando poco collaborativo. I figli maggiorenni invece sono responsabili e stanno provando a convincerlo ad accettare le soluzioni messe in campo».

Trovare però in città una casa per una famiglia così numerosa non è semplice. «Quando hanno fatto domanda per l’Erp non sono riusciti a percepire il punteggio che lo sfratto per finita locazione attribuirebbe in questi casi e così si trovano in fondo alla graduatoria - fa sapere l’assessora -. Bisognerebbe cercare un affitto nel privato. Un problema attuale, anche a Imola, resta però quello di famiglie che pur avendo un reddito non riescono a reperire un alloggio perché straniere o perché hanno la pelle di un altro colore. A questo vogliamo trovare un rimedio».

E la scelta della famiglia di “trasferirsi” a palazzo Monsignani per Spadoni «è soltanto un’azione dimostrativa - conclude -. Mi risulta che i figli, pagandoseli da soli, abbiamo dormito di recente in hotel o b&b. Dobbiamo convincere l’uomo, padre di cinque figli, a studiare la soluzione migliore per loro».

Gioiellieri (Asp): «Non abbandoniamo nessuno»

Come anticipato dall’assessora Spadoni, il caso è seguito dall’Asp. «Abbiamo fatto e stiamo facendo tutto quello che è nelle nostre possibilità per aiutarli, perché noi non abbandoniamo nessuno - afferma la presidente, Veronica Gioiellieri -. Prima dello sfratto era stata trovata una soluzione che non hanno accettato, poi ne abbiamo proposte altre questa settimana per tutti i componenti. Ora abbiamo premura che almeno quella per il collocamento dei figli minorenni e della mamma, i soggetti più fragili, vada a buon fine. Per aderire ai progetti le famiglie devono essere d’accordo, perché non abbiamo il potere coercitivo di collocamento». In sostanza, Asp non può obbligare nessuno a dire sì.

Zanoni (Caritas): «Solo un’azione dimostrativa»

«Conosciamo la famiglia, nonostante non siamo direttamente coinvolti, però non li vediamo da novembre - fa sapere il presidente di Caritas Imola, Alessandro Zanoni -. I genitori non sono particolarmente collaborativi e purtroppo, invece di accettare le soluzioni proposte, hanno scelto azioni dimostrative».

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